SANREMO FINE DELLA STORIA

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di Ruggiero Capone

La prima reazione, certamente impulsiva, a cospetto di Sanremo è cambiare canale o spegnere violentemente il televisore. Poi ci si pensa sopra. Ci rende conto d’essere a cospetto d’un baratro vissuto col sorriso da cittadini ed istituzioni tutte; quindi si opta per giocare il ruolo di cosciente spettatore della demolizione della nostra tradizione culturale. Qualcuno si domanda se questo faccia parte della dimostrazione di quella fine della storia preconizzata da Fukuyama. Di Certo il Festival è da considerarsi una delle tante sintesi del perduto senso della vita da parte dell’uomo, e si consuma nella piena consapevolezza e colpevolezza di gran parte della classe dirigente.
E’ profondamente stupido e amorale servire alla gente questa manifestazione ma, fortunatamente, nel sistema ci sono ancora delle seppur labili resistenze: è voce diffusa, e confermata da esponenti istituzionali, che il palafreniere Amadeus avrebbe dovuto officiale l’abbraccio sul palco tra Zelesky e Fedez, ma dai “piani alti” l’avrebbero fermato. Spettacolo che in mondovisione avrebbe consacrato l’appoggio del “mondo pop-gender” alla causa ucraina: ovviamente con un esborso da capogiro verso i principali attori dell’inverecondia. Non è dato sapere chi abbia fermato questa costosissima carnevalata, utile solo a giustificare finti follower (comprati) sui social. Pare abbiano consigliato di sostituire la scenetta con l’edificante intervento di Chiara Ferragni (ovviamente con costi suppergiù similari). Tirando le somme, siamo certi che la gente normale, il popolo italiano, il comune buonsenso si sentano tutti rappresentati dal Festival di Sanremo? Chi scrive ha rivolto questa domanda ad una docente di scuole superiori incontrata casualmente in un bar sotto casa, e la signora ha premesso che “Sanremo è utile a trasformare tutto in spettacolo”, che “grazie ai giovani si può finalmente dire che la storia non serve e non esiste, si può finalmente accettare liberamente di tutto, ogni messaggio”, soprattutto la tipa ha affermato “ormai è più quello che apprendo dagli studenti che quello che insegno”. Ecco il connubio tra pluririformata scuola e insegnamenti di Fedez, Ferragni e Blanco (quello che distrugge vasi e fioriere sul palco di Sanremo). La penserà così anche il presidente Mattarella? Possibile l’Uomo del Colle, di atavica saggezza democristiana, si sia fatto rapire dalle parole di Chiara Ferragni dal palco sanremese? Intanto in quel bar la gente s’accoda alla professoressa e ripete con lei a pappagallo “va così, è la società che deve andare così… se ti metti di traverso vieni travolto: è il futuro dell’umanità”. Intanto lo scrivente pone da queste pagine ben due ordini di problemi: ovvero il costo economico di queste carnevalate e, ovviamente, la ricaduta sociale di messaggi che di fatto vanificano nelle menti più deboli le certezze nei rapporti sociali e familiari. Girovagando su internet (nella rete) troviamo a cosa s’ispirerebbero Fedez, Blanco e compagnucci: pare Sanremo sia uno dei tanti punti planetari di propaganda (battuti da agenti di cinema e canzoni) del messaggio presumibilmente pensato nei salotti elitari del nostro occidente; conciliaboli che hanno progettato il “gran reset” culturale, che pare preveda venga eliso l’effetto della storia sulle scelte umane. In nome del nuovo e futuro umanoide, qualcuno pare reputi la visione di Tucidide ormai degna di revisione: sono passati più di due millenni da quando il pensatore greco ha introdotto il concetto delle tre dimensioni storiche; secondo cui il futuro non è che una proiezione del presente sui fondamenti del passato. Il passato, la tradizione, la memoria, tutta roba da cancellare. Questo lavoro di propaganda, un po’ come la “new age” negli anni ’70 del passato secolo, viene affidato ad ignoranti menestrelli. Sorge il dubbio che gli autori di Sanremo si siano prestati a questo gioco, soprattutto per soldi. Probabilmente Amadeus, un po’ per moda un po’ per lauto compenso (ne fa guadagnare tanti anche alla consorte), avrà pensato di superare Fukuyama, trasformando Sanremo nel palcoscenico dove mostrare lo snodo epocale di questo processo di “evoluzione sociale”, economica e politica dell’umanità che spalanca le porte ad un modello umanoide, sempiterno, indefinito, diverso, gender. Soprattutto Sanremo ci dice “la vostra storia normale è conclusa e non interessa più”. C’era stato preannunciato saremmo arrivati a questa caduta. Le concezioni cicliche della storia fanno seguire al progresso un processo di degenerazione che cancella ogni consapevolezza dei risultati precedenti: Fukuyama sosteneva che, se questo oblio non è completo, ogni ciclo successivo si troverebbe comunque a costruire il nuovo sulla base delle esperienze precedenti, per quanto in misura ridotta. Aristotele parametrava la storia umana alle forme di governo, che possono avere inizi felici e rovinose degenerazioni: la rovinosa fine culturale italiana si sintetizza in questo Festival, e chi lo ha sponsorizzato è partecipe e complice.
La sensazione che trasmette questo Festival è solo raffigurabile con le parole di Hegel, ovvero quella “megalotimia” propria delle classi dirigenti al crepuscolo; quel potere che in fase gerontica sa solo elevarsi a discapito degli altri uomini. In questo caso noi vittime spettatori, noi che contribuiamo in bolletta con il canone Rai.
Un festival che celebra la grande disgregazione utile a mettere in discussione il modello di vita sociale dell’uomo normale: la rivoluzione eugenetica gender contro l’identità storica e sociale. La tendenza che viene celebrata e premiata è il condannare senza appello la tendenza naturale dell’uomo a rifarsi alle proprie origini: Sanremo argina così la pressione del passato che ci ricorda i modelli preesistenti, quelli dei padri. Amadeus ha abilmente sintetizzato il rinnovamento a cui dobbiamo tendere, quel relativismo culturale come base della fine della storia che impone canoni etici e morali degni della peggiore dittatura col sorriso. Molti volti istituzionali hanno goduto lo spettacolo dalle poltrone del Festival, forse considerando l’evento come l’anticamera del prossimo forum economico di Davos. Qualcuno ha anche visto in Sanremo l’imminente volto istituzionale del Gay Pride. In troppi fingono di capirsi, d’approvare e di parlare la stessa lingua, tra danze, sessualità indefinita e trasversale… che Babilonia, che goduria, che Sodoma.

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