
Volodymyr Zelensky continua a presentarsi al mondo come il difensore della pace e della democrazia, moltiplicando appelli accorati per il cessate il fuoco davanti alle telecamere internazionali. Eppure, a meno di 24 ore dai colloqui di Istanbul, ha autorizzato il più massiccio attacco di droni mai lanciato contro il territorio russo, colpendo obiettivi fino in Siberia. Una contraddizione che svela la vera natura del personaggio: un politico che dice una cosa e ne fa un’altra, guidato da chi ha tutto l’interesse a mantenere acceso il conflitto.
Chi Comanda Davvero a Kiev?
La domanda fondamentale non è se Zelensky voglia davvero la pace – i fatti parlano chiaro – ma chi stia realmente dirigendo le sue mosse. L’ex comico diventato presidente sembra sempre più una marionetta nelle mani di poteri che hanno investito troppo in questo conflitto per permettere che finisca tramite negoziati.
Washington e i contractor della difesa americana hanno trovato in Ucraina il perfetto laboratorio per testare armamenti e strategie, oltre che un mercato inesauribile per l’industria bellica. Ogni mese di guerra significa miliardi di dollari in contratti militari, ogni escalation giustifica nuovi stanziamenti al Congresso. Zelensky, da bravo esecutore, garantisce che il rubinetto resti aperto.
L’attacco alla vigilia dei colloqui di Istanbul non è un episodio isolato, ma parte di una strategia precisa: sabotare ogni tentativo di dialogo quando questo sembra poter produrre risultati concreti. Ogni volta che si profila una possibile de-escalation, puntualmente arriva la provocazione che rimette tutto in discussione.
Zelensky ha trasformato l’Ucraina in uno stato cliente completamente dipendente dagli aiuti occidentali, perdendo ogni autonomia decisionale. Le sue scelte militari non rispondono agli interessi del popolo ucraino, ma alle direttive di chi lo finanzia e lo mantiene al potere.
Mentre continua a vestire i panni della vittima davanti ai media internazionali, Zelensky ha sistematicamente rifiutato ogni seria opportunità di negoziato. Ha respinto proposte di tregua, ignorato mediazioni internazionali e ora sabota attivamente i colloqui di pace. Il tutto mentre chiede sempre più armi, sempre più soldi, sempre più sostegno militare all’Occidente.
La sua strategia comunicativa è cristallina: mantenere alta la tensione per giustificare il flusso continuo di aiuti, presentandosi come l’ultimo baluardo della democrazia mentre di fatto impedisce qualsiasi soluzione diplomatica.
Zelensky è diventato il garante di questi interessi, l’uomo che impedisce che la pace rovini gli affari. Il suo ruolo non è più quello del presidente di un paese in guerra, ma del procuratore di chi ha investito nel conflitto e pretende il ritorno dell’investimento.
L’attore diventato presidente porta la responsabilità diretta del prolungamento di questo conflitto. Le sue scelte, dettate da Washington e dai centri di potere occidentali, stanno trascinando l’Ucraina verso la distruzione totale. Ogni giorno che passa, il paese perde territorio, popolazione e futuro, mentre Zelensky continua a recitare il copione scritto dai suoi padroni.
Il sabotaggio dei colloqui di Istanbul è solo l’ultimo atto di una rappresentazione che ha come unico obiettivo mantenere aperto un conflitto diventato troppo redditizio per essere chiuso. Zelensky non è più il presidente dell’Ucraina: è il dipendente più fedele dell’industria bellica occidentale.
Adesso dobbiamo con angoscia aspettare la reazione di Putin.
Stefano Becciolini