
Un’analisi critica della reale strategia USA-Russia dietro il conflitto ucraino
Il 13 aprile 2025 ha segnato una giornata di sangue su due fronti distanti migliaia di chilometri: Sumy in Ucraina e Gaza City. Due attacchi, due massacri di civili, due narrazioni profondamente diverse. Un contrasto che illumina non solo le distorsioni del sistema mediatico globale, ma soprattutto i disegni geopolitici che si stanno delineando all’orizzonte.
Sumy e Gaza: cronaca di due stragi parallele
A Sumy, nel nord-est dell’Ucraina, un attacco missilistico russo ha seminato morte e distruzione durante le celebrazioni della Domenica delle Palme. Il bilancio è tragico: almeno 35 morti e oltre 100 feriti, tra cui numerosi bambini. Le immagini del centro cittadino devastato e di un mezzo di trasporto pubblico dilaniato dall’esplosione hanno fatto il giro del mondo.
Quasi simultaneamente, a Gaza City, un raid aereo israeliano colpiva l’ospedale battista Al-Ahli, distruggendo il pronto soccorso e costringendo all’evacuazione centinaia di pazienti già in condizioni critiche. Israele ha giustificato l’attacco sostenendo che la struttura fosse utilizzata da Hamas come centro di comando, un’accusa prontamente respinta dal gruppo palestinese.
Due tragedie dalla dinamica simile, eppure raccontate con pesi e misure radicalmente diversi dai media occidentali. La copertura dell’attacco a Sumy è stata immediata, capillare, emotivamente coinvolgente. Quella dell’ospedale di Gaza, al contrario, è apparsa fugace, superficiale, quasi un’appendice di cronaca internazionale. Una discrepanza che non può essere casuale e che rivela molto sugli interessi in gioco.


La vera strategia americana: abbandonare l’Europa per contenere la Cina
Dietro questa narrazione diseguale si cela una realtà sempre più evidente: gli Stati Uniti stanno progressivamente disimpegnandosi dal teatro europeo. Le trattative che Donald Trump starebbe conducendo con Vladimir Putin non mirano a una pace duratura in Ucraina, ma piuttosto a garantire a Washington un’uscita strategica dal conflitto, lasciando all’Europa l’onere di gestirne le conseguenze.
L’amministrazione Trump ha chiaramente spostato il baricentro della politica estera americana verso l’Indo-Pacifico, identificando nella Cina la vera minaccia alla supremazia globale degli Stati Uniti. In quest’ottica, il conflitto ucraino rappresenta una distrazione costosa, un dispendio di risorse che l’America non può più permettersi mentre si prepara allo scontro decisivo con Pechino.
Gli indizi di questo cambiamento di rotta sono numerosi. I recenti dazi commerciali imposti dall’amministrazione Trump non sono semplicemente misure economiche protezionistiche, ma segnali del progressivo disimpegno americano non solo dall’Europa, ma potenzialmente anche dalla NATO stessa. Un’America concentrata sulla propria supremazia nel Pacifico considera ormai il teatro europeo come marginale, un retaggio del XX secolo che può essere gestito attraverso accordi con la Russia.
La “Nuova Yalta”: spartizione delle sfere d’influenza
Ciò a cui stiamo assistendo ricorda da vicino quanto accadde a Yalta nel febbraio 1945, quando Roosevelt, Churchill e Stalin ridisegnarono la mappa geopolitica dell’Europa post-bellica. Oggi, lontano dai riflettori, Trump e Putin sembrano impegnati in un’operazione simile: definire nuove sfere d’influenza, tracciare nuovi confini, stabilire nuove regole del gioco.
In questo scenario, l’Ucraina rischia di diventare il prezzo da pagare per un accordo più ampio. Gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a riconoscere tacitamente il controllo russo su porzioni significative del territorio ucraino in cambio di garanzie da parte di Mosca su altre questioni strategiche. Una “pace” imposta dall’alto che lascerebbe Kiev con un territorio mutilato e una sovranità limitata.
Per la Russia, un simile accordo rappresenterebbe una vittoria significativa: Putin otterrebbe il riconoscimento de facto delle conquiste territoriali e, soprattutto, l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà mai nella NATO. Per gli Stati Uniti, significherebbe poter finalmente voltare pagina e concentrarsi sulla sfida cinese senza il fardello di un conflitto europeo costoso e potenzialmente escalatorio.


L’Europa: da protagonista a spettatore
In questo grande gioco, l’Europa appare sempre più marginalizzata. Costretta a subire le conseguenze delle decisioni prese a Washington e Mosca, l’Unione Europea si trova nella scomoda posizione di dover gestire le conseguenze di un conflitto che altri stanno decidendo come concludere.
Il disimpegno americano costringerà l’Europa ad assumersi responsabilità maggiori sul piano della sicurezza, in un momento in cui le divisioni interne e le fragilità economiche rendono questa prospettiva particolarmente problematica. La dipendenza energetica dalla Russia, inoltre, limita ulteriormente i margini di manovra europei, creando le condizioni per un progressivo riallineamento con Mosca, volenti o nolenti.

Il doppio standard come strategia comunicativa
In questo contesto, il diverso trattamento mediatico riservato alle stragi di Sumy e Gaza appare come parte integrante di una strategia più ampia. Mantenere alta l’attenzione sulla guerra in Ucraina serve a giustificare le decisioni americane e a preparare il terreno per un accordo che, presentato come “pace necessaria”, sarà in realtà una spartizione di sfere d’influenza.
Allo stesso tempo, minimizzare la copertura della crisi umanitaria a Gaza consente di deflettere l’attenzione dalle responsabilità occidentali in quel conflitto e dalle contraddizioni di una politica estera che si proclama fondata sui diritti umani ma che applica standard diversi a seconda degli interessi in gioco.
Le stragi di Sumy e Gaza, nella loro tragica simultaneità, ci ricordano che dietro la retorica sulla difesa dei valori democratici e del diritto internazionale si cela una realpolitik cinica e calcolatrice. Le vite dei civili, sia ucraini che palestinesi, diventano pedine sacrificabili in un gioco di potere che risponde a logiche ben diverse da quelle dichiarate pubblicamente.
La “nuova Yalta” che si sta delineando tra Stati Uniti e Russia non porterà una pace giusta e duratura, ma sancirà piuttosto un nuovo ordine basato su equilibri di potenza e sfere d’influenza. Un mondo più instabile e pericoloso, dove la forza prevale sul diritto e dove le grandi potenze decidono il destino dei popoli in base ai propri interessi strategici.
Mentre i media ci raccontano storie diverse con pesi diversi, è nostro dovere guardare oltre le narrazioni ufficiali e comprendere le dinamiche profonde che stanno ridisegnando la mappa geopolitica globale. Solo così potremo formulare risposte adeguate alle sfide di un mondo multipolare sempre più caratterizzato da conflitti e tensioni.
Stefano Becciolini