IL REGIME DELLE BOIATE PAZZESCHE

 

Dalla guerra sanitaria alla guerra sociale: alla fine si tratta sempre di far fuori i lavoratori di FULVIO GRIMALDI

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Nell’intervista che ho dato a Becciolini Network si parla soprattutto del copia e incolla che questo regime, in guerra contro il popolo, va facendo con la crisi che un’altra élite dovette affrontare nella sua guerra contro operai e studenti. Siccome c’ero e anche agivo, vedo i paralleli. Quelli invisibili ai volenterosi smemorati che si rifugiarono nel campo opposto quando le cose non andavano più per il loro verso giusto e, ora, dai sottoscala del palazzo del tiranno, fanno da camera dell’eco all’antifascismo dei Gran Visir, i Draghi, Soros, Gates. Allora i contestatori di un ordine che, essendo, dopo il boom della ricostruzione, calato il tasso di profitto, volle rifarsi a spese di lavoratori, operai emigrati dal Sud, popolo delle periferie abbandonate e degradate, studenti lustrascarpe dei baroni. I mezzi? Quelli della crisi padronale di oggi: repressione poliziesca, disoccupazione, inflazione, rappresaglie sul lavoro, sullo studio, nell’esercito, diversivi terroristici attribuiti a nemici autoprodotti. Ne vennero le stragi di Stato, realizzate via via con vari corpi sussidiari. Inventati o reperiti. A partire dal teppismo di un sottoproletariato parafascista, a continuare con le BR rigenerate e manipolate della seconda generazione e a finire con Cosa Nostra.

Sinistra e “sinistra”
La sconfitta della tentata rivoluzione del ’68-’77 si deve all’efficacia, allora inedita, di questi strumenti, ma ancora di più allo sfinimento della carica antagonista, esemplificato dal consociativismo di Berlinguer e Lama col Compromesso Storico, del maggiore partito di massa e dei sindacati tutti. A contrastare la restaurazione ci fu, però, una sinistra rivoluzionaria dal livello di coscienza e dalle dimensioni mai viste in questo paese. Pagò la sua proposta  con centinaia di morti sotto le cariche della polizia, degli spari dei “Falchi” (infiltrati) di Cossiga, del tradimento dei suoi chierici, delle mazzate negli sconsiderati scontri con sedicenti fascisti che risultavano utili al ricupero dei poteri messi in discussione.

Oggi sono riemersi, e sabato 9 ottobre sono stati scongelati ed estratti dal magazzino, i disadattati borderline cui, per avere un minimo di consistenza politica e di pericolosità sociale, si concede l’etichetta di fascisti. E ha svolto il compito che dal secondo dopo guerra ha costantemente assolto.

Quanto a ciò che si definisce sinistra più o meno radicale, si assiste, tra lo sghignazzo e il singhiozzo, alla sua piena cooptazione in quella che, decenni fa, si sarebbe definita dittatura fascista. Oggi ha contribuito a far apparire quel ventennio un nano rispetto al giganteggiare del regime Conte-Draghi nella sua funzione di annientamento del cittadino e della comunità nazionale, dato che a esso questa “sinistra” fornisce assenso e complicità.

Lampeggia nell’oscurità della nostra notte l’evidenza del copia e incolla praticato, con un’incompetenza nell’uso della provocazione da far vergognare i predecessori nei Servizi degli anni ’70, i Santovito, Grassini, Maletti, Parisi e i loro apprendisti neri, i Delle Chiaie, Cavallini, Fioravanti, Freda, Tilgher…Tra i nostri mass media un unico quotidiano, La Verità, fieramente di “destra”, è uscito dal coro del cantante unico per denunciarlo. 

Il giornale caro al Deep State, allineato (con il tiranno) e coperto (dall’antifa)

Ministra balorda, o rotellina dell’ingranaggio?
Tra gli intervenuti in parlamento sul tema “assalto alla CGIL” (finalizzato a ricuperare un’ombra di virtù antifascista a un sindacato sprofondato nei vizi del collaborazionismo) abbiamo udito la sola Giorgia Meloni non farsi invischiare nella vulgata della ministra “incapace, confusa, maldestra” che, “per evitare che la teppa fasesse danni”, come ha replicato, l’ha spedita a far danni alla CGIL. Troppo facile, per Meloni, asfaltare una simile interlocutrice. . Accanto alla leader di FdI, sull’unico schermo fuggito al coro delle televisioni armonizzanti, Mario Giordano aveva il coraggio di fare il complottista portando le prove logiche e visive del complotto. Complotto d’alto bordo, ma realizzato da una sicaria che pensava di essere credibile dopo che i suoi poliziotti avevano pestato manifestanti pacifici e le sue guardie, rese inermi, si erano fatte bastonare da manifestanti “fascisti”.

Ora tutto questo malriuscito guazzabuglio aveva uno scopo tattico e uno strategico. Alla vigilia del ballottaggio in cui la Cupola vuole assolutamente che vinca il PD, cioè l’agente principale dell’olocausto globalista, una brutale  epifania di un fascismo che richiamasse gli assalti alle Camere del Lavoro (1922) avrebbe dovuto mettere in difficolta ulteriore una “destra”, detta fascista o quasi. Era già successo con i cronometrici scandaletti Fidanza (FdI) e Morisi (Lega), utilizzati per colorare di brutto questi rivali nel voto amministrativo, specie nella decisiva capitale. Dove infatti ha prevalso il peggiore.

L’inversione dei fattori è impressionante. Quello detto “sinistra” non potrebbe essere più di destra, interamente dalla parte della più autocratica, moralmente iniqua e socialmente reazionaria conventicola mai apparsa a offendere il popolo di Dante. Mentre l’altro, detto “destra”, pur rimanendo rigorosamente capitalista, neoliberista e atlantista, sul nodo principale della libertà e dei diritti costituzionali rappresenta la resistenza alla barbarie. Alice nel paese delle meraviglie. 

Da guerra alla salute a guerra alla classe

A Draghi è stato dato mandato di rischiare la prova di forza. In aggiunta al morbo e al suo fatale rimedio, ha avuto in dotazione altri armamenti, a lui. , campione della disfida globale, per primo  riservati: i ceppi e la gogna del Green Pass, l’inflazione per radere al suolo ogni residuo fermento.

Con la sua piccola “Piazza Fontana” alla sede della CGIL, il regime ha pensato di prendere due piccioni con la classica fava: fingersi antifascista per sotterrare ogni opposizione ala despotismo sotto la lastra tombale del “fascismo” e procedere così spedito col Green Pass verso il grande Reset; stracciare la “destra” ai ballottaggi di domenica. Il tutto nel segno storico della lotta di classe dall’alto al basso. Da quelli che sfruttano e opprimono (fanno guerre, rubano, devastano), a chi lavora, subisce e perlopiù perde e muore.

Inaspettatamente, ma già percepibile dalla crescente onda nelle piazze di gente che aveva saputo, pensato e capito cosa si stava abbattendo su sè e sull’umanità tutta, è partita la scintilla da un fuoco che, evidentemente, covava, alla faccia di partiti e sindacati. Si sono accesi pezzi di classe operaia. I grandiosi portuali di Trieste, vera avanguardia che ha contagiato i camalli di Genova, quelli di Livorno, di Gioia Tauro, i cantieristi di Monfalcone. I camionisti, gli agricoltori, migliaia di poliziotti (il 30% in meno sul territorio), i ferrovieri, gli operai dell’ILVA, di tante fabbriche, sempre più studenti fuori dalla morta gora. La guerra si fa di classe. Fuoco di paglia? Si vedrà.

Passo indietro?

Il governo ha offerto ai portuali il tampone gratis. Come il gelato ai ragazzini, come il biglietto per lo stadio ai tifosi. Squallore da trafficanti di stupefacenti. Ricatto respinto. L’ultima che sento, però, sarebbe che i portuali di Trieste hanno chiesto per il cappio green il rinvio di un mese. Ma non avevano detto di rappresentare il rifiuto di tutto un popolo? Non capisco. Ma, oltre che vecchio, sono anche un po’ stupido….. 

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