Mario DRAGHI e Il pericoloso progetto di un DEBITO comune per il RIARMO EUROPEO

Discorso di Draghi del 18/03/2025

Draghi spinge per un’Europa militarizzata e centralizzata, allontanandola dal suo progetto di pace.

Le allarmanti dichiarazioni di Mario Draghi, rilasciate ieri 18 marzo 2025 durante la sua audizione al Senato italiano, rivelano la preoccupante direzione che l’establishment europeo intende imporre all’Unione. Draghi ha proposto senza mezzi termini il ricorso al debito comune per finanziare un massiccio programma di spese militari, mascherando questa scelta dietro la pretesa di voler “evitare tagli alla spesa sociale e sanitaria”. Questa proposta, che si inserisce in un’evidente strategia di riarmo dell’Europa, rappresenta un passo decisivo verso la militarizzazione dell’economia continentale e l’espansione incontrollata dell’indebitamento pubblico.

Un modello economico insostenibile al servizio dell’industria bellica
La mutualizzazione del debito per finanziare la difesa è un progetto che solleva gravissimi interrogativi sulla sostenibilità economica e democratica dell’Unione. Mentre Draghi sostiene che nessun Paese da solo può sostenere gli investimenti necessari, omette di menzionare che questa strategia porterà inevitabilmente a un’ulteriore e pericolosa centralizzazione delle decisioni a Bruxelles, erodendo la già compromessa sovranità degli Stati membri e scaricando oneri finanziari insostenibili sulle generazioni future.

In un inquietante sviluppo parallelo, il Ministro Adolfo Urso ha annunciato un piano di riconversione industriale che trasformerà il settore automobilistico italiano in un’appendice dell’industria militare. Questo progetto, collegato all’ambizioso e sconsiderato piano “ReArm Europe”, prevede la colossale cifra di 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. La retorica ufficiale parla di “difendere la competitività europea”, ma la realtà è ben più grave: si tratta di una radicale e pericolosa trasformazione dell’industria manifatturiera europea in funzione bellica.

Questa riconversione solleva questioni etiche e pratiche di enorme portata:
Lo spostamento massiccio di risorse dai settori civili a quelli militari rappresenta una drammatica distorsione delle priorità sociali ed economiche, con l’Europa che diventa sempre più dipendente dall’industria della guerra.
 
Il passaggio forzato dalla produzione civile a quella militare minaccia di distruggere migliaia di posti di lavoro specializzati, con ripercussioni devastanti per intere comunità.
 
L’Europa sta ridisegnando radicalmente il suo modello economico in funzione del riarmo senza alcun reale dibattito democratico, imponendo scelte cruciali senza il consenso dei cittadini.

Servizio video sul riarmo

Elkann e l’industria automobilistica: dalla mobilità civile alla produzione bellica

In questo scenario preoccupante emerge la figura di John Elkann, presidente di Stellantis. Dopo aver allontanato l’amministratore delegato Carlos Tavares, Elkann ha consolidato il proprio potere esecutivo e si prepara a presentare un piano di riconversione dell’industria automobilistica verso la produzione militare. La sua precedente assenza dalle sedi istituzionali aveva sollevato legittime polemiche, ma ora la sua presenza serve solo a legittimare una trasformazione industriale dagli esiti potenzialmente catastrofici.

La totale mancanza di trasparenza e l’assenza di un piano industriale credibile stanno alimentando una crescente ondata di preoccupazione tra i lavoratori e nelle comunità locali. La trasformazione di aziende storiche, nate per migliorare la mobilità delle persone, in fabbriche di strumenti di morte rappresenta un punto di non ritorno per l’intera industria europea.

Un’Europa militarizzata: la fine del progetto di pace
Le scelte politiche ed economiche emerse dalle dichiarazioni di Draghi e dalle strategie industriali italiane dimostrano inequivocabilmente l’accelerazione verso una pericolosa militarizzazione dell’economia europea. L’idea che la crescita economica debba necessariamente passare attraverso l’industria bellica viene ormai presentata come inevitabile, con i governi che abdicano alla loro responsabilità di cercare alternative pacifiche allo sviluppo.

La strategia delle crisi permanenti:
È impossibile non notare come Mario Draghi parli sistematicamente di “economia di guerra” dal 2022, quando era Presidente del Consiglio italiano, fino alla Commissione Europea nel marzo 2024. Questa insistenza solleva interrogativi inquietanti: possedeva forse informazioni privilegiate sull’evoluzione della situazione geopolitica? Era già a conoscenza delle future posizioni americane verso la Russia? Oppure eta un piano già scritto?

La sequenza di crisi che ha caratterizzato l’ultimo decennio – dalla “guerra economica” di Mario Monti nel 2011, alla “guerra al terrorismo”, passando per la “guerra al virus”, la “guerra climatica” fino al conflitto tra Russia e NATO – rivela un unico, inquietante filo conduttore: l’uso strumentale delle crisi e della paura per imporre cessioni di sovranità che altrimenti sarebbero state inaccettabili.

La celebre affermazione “l’Europa ha bisogno delle crisi per fare passi avanti e cedere sovranità”, attribuita a Mario Monti in un’intervista al Corriere della Sera nel 2011 e ripresa da Draghi nel 2021 durante la gestione della pandemia, sembra aver trovato la sua più pericolosa applicazione.

Questa strategia trova la sua origine nel pensiero di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, che teorizzò come l’Europa potesse avanzare attraverso le crisi, spingendo gli Stati a cedere porzioni della loro sovranità per trovare soluzioni comuni. Nel suo libro “Mémoires” (1976), Monnet scrive: “L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi.”

Oggi, questa filosofia si è trasformata in una pericolosa strategia di ingegneria sociale e politica, dove le crisi – reali o amplificate – vengono utilizzate per imporre trasformazioni strutturali che altrimenti incontrerebbero resistenza. La svolta militarista dell’Europa rappresenta il punto culminante di questa inquietante evoluzione, con conseguenze potenzialmente devastanti per la pace, la democrazia e il benessere dei cittadini europei.
Stefano Becciolini

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