
Dietro il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo non ci sono solo tensioni etniche o politiche, ma una feroce lotta per il controllo delle immense risorse minerarie. Multinazionali, governi e potenze straniere si contendono il coltan, il cobalto e l’oro, mentre il popolo congolese continua a pagare il prezzo più alto.
Nel silenzio assordante dei media nazionali e, purtroppo, anche dell’informazione libera in rete – attualmente concentrata sugli “ordini esecutivi” emanati da Donald Trump – si sta consumando nella Repubblica Democratica del Congo l’inizio di una guerra civile. Un conflitto che affonda le sue radici nelle immense ricchezze minerarie del Paese.
Scontri e vittime: il bilancio attuale
Negli ultimi giorni, gli scontri nella città di Goma hanno causato almeno 700 morti e 2.800 feriti, secondo dati forniti dalle Nazioni Unite per il periodo compreso tra domenica 26 e giovedì 30 gennaio 2025. Tuttavia, il numero delle vittime potrebbe aumentare, poiché la situazione rimane instabile e i combattimenti continuano.
Il Ministero della Salute congolese ha inoltre riferito che, al 30 gennaio, le morgue degli ospedali di Goma ospitavano 773 corpi, evidenziando la gravità della crisi umanitaria in corso.


A partire dal 25 gennaio, il gruppo ribelle M23 ha lanciato un’offensiva su Goma, scontrandosi violentemente con l’esercito congolese (FARDC) e le forze di pace internazionali. Durante gli scontri, almeno 13 soldati delle forze di pace sono stati uccisi: nove sudafricani, tre malawiani e un uruguaiano.
Gli scontri si sono estesi anche ad altre località strategiche della regione orientale del Paese, tra cui Sake e Minova.

L’M23 e l’escalation del conflitto
Il gruppo ribelle M23, sostenuto dal Ruanda, ha recentemente preso il controllo di Goma, innescando violenti combattimenti con l’esercito congolese e provocando un massiccio esodo di civili in fuga dalle violenze.
Dopo la conquista della città, l’M23 ha annunciato l’intenzione di avanzare verso sud, puntando su Bukavu, capoluogo della provincia del Sud Kivu. L’espansione del conflitto sta aggravando ulteriormente la crisi umanitaria nella regione.
Il leader dell’M23, Corneille Nangaa, ha dichiarato di voler proseguire l’avanzata fino alla capitale Kinshasa, con l’obiettivo di rovesciare il presidente Félix Tshisekedi, accusato di non aver vinto legittimamente le elezioni.

Reazioni internazionali e proteste
La comunità internazionale ha espresso profonda preoccupazione per l’escalation della violenza. L’Unione Africana ha condannato fermamente gli attacchi dell’M23, chiedendo il ritiro immediato e senza condizioni dalle aree occupate, inclusa Goma.
Nel frattempo, il presidente Tshisekedi ha denunciato l’inazione della comunità internazionale e ha sottolineato la necessità di una risposta più decisa da parte dell’esercito congolese.
Sul fronte umanitario, la situazione è critica: oltre 200.000 bambini sono a rischio, e numerosi casi di separazioni familiari e violenze sessuali sono stati segnalati. Organizzazioni come Save the Children e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno lanciato l’allarme sulla gravità della crisi e sulla necessità di aiuti immediati.
Negli ultimi giorni, la capitale Kinshasa è stata teatro di violente proteste. Diverse ambasciate sono state attaccate dai manifestanti, che accusano alcuni Paesi di sostenere o non contrastare adeguatamente l’avanzata dell’M23. Tra le sedi diplomatiche danneggiate figurano quelle di Ruanda, Kenya, Uganda, Francia, Belgio e Stati Uniti, con episodi di incendi e saccheggi. L’ambasciata italiana, invece, non è stata coinvolta negli attacchi.

Le parti in conflitto
M23: Composto principalmente da combattenti di etnia tutsi, il gruppo ribelle sostiene di difendere i diritti della minoranza tutsi nel Paese. Guidato da Corneille Nangaa, ex capo della commissione elettorale congolese, negli ultimi anni ha cercato di distanziarsi dal sostegno ruandese per presentarsi come un movimento congolese.
Repubblica Democratica del Congo (RDC): Il governo centrale, guidato dal presidente Félix Tshisekedi, cerca di mantenere il controllo del territorio nazionale e accusa il Ruanda di sostenere i ribelli.
Ruanda: Ufficialmente nega qualsiasi coinvolgimento, ma rapporti delle Nazioni Unite e dichiarazioni di vari governi indicano una partecipazione attiva delle forze ruandesi al fianco dei ribelli.
Forze locali e internazionali: Oltre all’esercito congolese, nella regione operano diverse milizie locali, come i Mai-Mai, e forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, impegnate a proteggere i civili e stabilizzare l’area.
Il vero motivo della guerra: il controllo delle risorse minerarie
Il Congo possiede immense risorse minerarie, fondamentali per le tecnologie moderne e la transizione energetica. Tra le principali:
Cobalto: Il Paese produce circa il 70% del cobalto mondiale, indispensabile per le batterie agli ioni di litio.
Coltan: La RDC detiene l’80% delle riserve mondiali di questo minerale, cruciale per la produzione di dispositivi elettronici.
Rame: Il Congo è uno dei principali produttori africani di rame, ampiamente usato nell’industria elettrica.
Diamanti e oro: Il Paese è tra i maggiori produttori mondiali di queste risorse.

Stagno e tungsteno: Utilizzati in vari settori industriali.
Nonostante questa ricchezza, la popolazione beneficia poco delle risorse a causa di corruzione, sfruttamento illegale e conflitti legati al controllo delle miniere.
Il ruolo dell’Unione Europea e le tensioni con la RDC
L’Unione Europea ha recentemente firmato un protocollo d’intesa con il Ruanda per la cooperazione sulle materie prime critiche. L’accordo, siglato il 19 febbraio 2024 a Kigali, mira a sviluppare competenze minerarie e migliorare la trasparenza delle risorse.
Tuttavia, il presidente congolese Félix Tshisekedi ha definito l’accordo «una provocazione di pessimo gusto». Il governo congolese accusa il Ruanda di sfruttare illegalmente le risorse minerarie congolesi, in particolare il coltan.
Kinshasa sottolinea che il Ruanda non possiede nel proprio sottosuolo questi minerali e che li estrae illegalmente dal Congo. Il portavoce del governo congolese, Patrick Muyaya, ha denunciato l’ambiguità dell’UE, che da un lato condanna la crisi nell’est del Paese, dall’altro stringe accordi con uno dei principali attori accusati di alimentarla.
Bruxelles difende l’accordo, ricordando di aver sanzionato più volte i responsabili della destabilizzazione del Congo..

L’assassinio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio
Non si può dimenticare l’omicidio del diplomatico italiano Luca Attanasio, ucciso il 22 febbraio 2021 in un’imboscata mentre viaggiava in un convoglio del Programma Alimentare Mondiale (PAM) nella provincia del Nord Kivu.
Nell’attacco hanno perso la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.
Inizialmente si parlò di un tentativo di rapimento finito in tragedia, ma successive indagini hanno ipotizzato che Attanasio stesse indagando su un traffico illegale di visti per l’area Schengen, un mercato nero in cui un visto poteva costare tra i 5.000 e i 6.000 euro.
Se questa pista fosse confermata, il diplomatico potrebbe essere stato eliminato perché rappresentava una minaccia per le organizzazioni criminali coinvolte.


CONCLUSIONI:
Mentre il mondo guarda altrove, nella Repubblica Democratica del Congo si sta consumando una tragedia che non ha nulla a che vedere con la democrazia o i diritti umani, ma con il più brutale dei giochi di potere: il controllo delle risorse. Coltan, cobalto, oro, diamanti – minerali strategici, linfa vitale per le multinazionali e per le economie delle potenze globali, ma anche maledizione per un popolo condannato alla miseria e alla guerra permanente.
Le grandi aziende tecnologiche e i governi occidentali sbandierano la transizione ecologica e il progresso digitale, ma a quale costo? Dietro ogni smartphone, ogni batteria di un’auto elettrica, ogni circuito di un supercomputer, c’è il sangue dei congolesi, c’è il silenzio complice della comunità internazionale, c’è la farsa delle operazioni di “peacekeeping” che proteggono tutto fuorché i civili.
E mentre i media parlano di “conflitto etnico” o “insurrezioni ribelli”, la realtà è molto più cinica: il saccheggio del Congo è un affare miliardario, orchestrato da chi scrive le regole del mercato e le infrange quando conviene. Il Ruanda? Solo una pedina. L’Unione Europea? Firma accordi con chi saccheggia le risorse. Le multinazionali? Fanno affari d’oro sulle rovine di un paese martoriato.
Questa non è una guerra civile. È un’operazione di colonizzazione economica mascherata da instabilità politica. E il vero crimine? L’indifferenza del mondo, mentre un intero popolo viene sacrificato sull’altare del profitto globale.
Stefano Becciolini