Famiglia AGNELLI: L’Impero che Tiene l’Italia in OSTAGGIO

Con questo editoriale, voglio intraprendere un viaggio non breve attraverso la storia della FIAT e della famiglia Agnelli. Un esercizio ambizioso, ma indispensabile, per comprendere le complesse dinamiche che hanno condotto il settore industriale automobilistico all’attuale situazione, una vera e propria catastrofe sociale.

La fondazione della Fiat, detta anche Fabbrica Italiana Automobili Torino
La famiglia Agnelli, originaria del Piemonte, affonda le proprie radici nel XVIII secolo. Giovanni Lorenzo Agnelli e Teresa Oberti si stabilirono a Racconigi nella prima metà del Settecento, avviando attività legate alla coltivazione dei bachi da seta e alla produzione di filati. Queste iniziative li resero imprenditori di spicco nel Regno di Sardegna.
Il loro figlio, Giuseppe Francesco Agnelli (1789-1865), si trasferì a Torino, dove si affermò come banchiere e commerciante di sete, ampliando le attività di famiglia nel settore finanziario e immobiliare.
Edoardo Agnelli (1831-1871), figlio di Giuseppe Francesco, proseguì l’espansione delle iniziative familiari.

Alla sua prematura scomparsa, il figlio Giovanni Agnelli (1866-1945) ereditò l’impero di famiglia, ponendo le basi per una dinastia industriale destinata a segnare profondamente la storia italiana.
L’ascesa degli Agnelli ebbe inizio con Giovanni Agnelli fondatore nel 1899 della FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), che sarebbe diventata uno dei principali produttori automobilistici a livello mondiale.
La nascente FIAT si avvalse del finanziamento di un  gruppo di imprenditori torinesi, guidati da Giovanni Agnelli, Emanuele Cacherano di Bricherasio e altri fondatori di spicco. Il capitale iniziale, pari a 800.000 lire, fu raccolto principalmente attraverso contributi diretti dei soci e il supporto del Banco di Sconto e Sete di Torino, un istituto bancario locale.

Emanuele Cacherano di Bricherasio e Giovanni Agnelli

Non si esclude però il  sostegno di istituti finanziari tedeschi, attratti dalle potenzialità del settore automobilistico, che in Germania era già in forte crescita. 

Primo stabilimento FIAT agli inizi del ‘900

La prima guerra mondiale, la fortuna della FIAT
Durante la Prima Guerra Mondiale, la FIAT, ebbe un ruolo centrale nel supportare lo sforzo bellico dell’Italia. La fabbrica, che fino a quel momento produceva prevalentemente automobili civili, fu riconvertita per la produzione di veicoli e materiali destinati al conflitto. Questo segnò un momento di grande espansione per l’azienda.
Produzione bellica: La FIAT divenne il principale fornitore di veicoli per l’esercito italiano, producendo camion, autoblindo, e altri mezzi militari. La domanda bellica portò a un forte incremento della capacità produttiva e alla costruzione di nuovi stabilimenti.
Crescita economica: Grazie alle commesse governative, la FIAT vide un aumento esponenziale del proprio fatturato e ampliò la sua forza lavoro. Questo trasformò l’azienda in un attore chiave dell’industria italiana.
Consolidamento della leadership: Giovanni Agnelli sfruttò il periodo per rafforzare il ruolo della FIAT come pilastro del settore industriale italiano, ponendo le basi per il predominio dell’azienda anche nel dopoguerra.

Carro armato pesante Fiat 2000 Mod. 17 e mitragliatrice Fiat-Revelli Mod.1914

La Prima Guerra Mondiale segnò una svolta decisiva per la FIAT, catapultandola da una promettente azienda automobilistica a una potenza industriale di rilievo nazionale e internazionale. Grazie alla crescente domanda di veicoli e materiali bellici, l’azienda vide un’espansione senza precedenti, diventando uno dei pilastri dell’economia italiana. Tuttavia, questa rapida crescita non fu priva di conseguenze.
Mentre i profitti dell’azienda lievitavano, le condizioni dei lavoratori peggioravano. Turni massacranti, salari bassi e un crescente divario tra la dirigenza e la manodopera alimentarono tensioni sociali che sfociarono in scioperi e proteste. Questi conflitti, acuiti dall’inasprirsi delle disuguaglianze economiche, posero le basi per un lungo periodo di contrasti che avrebbe segnato la storia della FIAT negli anni successivi.
L’azienda, pur beneficiando del supporto statale e della protezione di un mercato sempre più centralizzato, rispose alle proteste con politiche di repressione e strategie volte a mantenere il controllo. Questo atteggiamento non fece che aggravare il malcontento, trasformando la FIAT da simbolo di innovazione industriale a emblema delle contraddizioni sociali dell’epoca.

20 marzo 1920: serrata alla Fiat, è sciopero generale

LA FAMIGLIA AGNELLI ED IL VENTENNIO FASCISTA
Durante il periodo fascista, la famiglia Agnelli e la FIAT giocarono un ruolo centrale nello sviluppo economico e industriale dell’Italia, consolidando il loro potere economico e politico grazie alla stretta collaborazione con il regime di Benito Mussolini. Giovanni Agnelli  senatore del Regno d’Italia dal 1923, fu una figura chiave in questa alleanza, garantendo alla sua azienda un’influenza senza precedenti e benefici molto importanti.
Giovanni Agnelli, nominato senatore in virtù del suo successo imprenditoriale e del contributo allo sviluppo economico del Paese, si adattò rapidamente al nuovo contesto politico instaurato dal fascismo. Agnelli comprese le opportunità offerte dal regime, che vedeva nell’industria privata un mezzo per rafforzare il potere economico e militare dello Stato. La FIAT divenne un pilastro dell’economia corporativa voluta da Mussolini, godendo di protezioni e privilegi che ne accelerarono ulteriormente la crescita.

Benito Mussolini e il discorso alla FIAT con anche l’intervento di Giovanni Agnelli il 24 ottobre 1932

Durante il ventennio, l’azienda si trasformò in un simbolo dell’autarchia economica, producendo non solo automobili ma anche veicoli militari e mezzi corazzati, indispensabili per le campagne coloniali in Africa e per il riarmo dell’Italia. Le commesse pubbliche divennero una fonte primaria di reddito per l’azienda, consentendole di espandersi ulteriormente e di mantenere una posizione dominante nel panorama industriale italiano.
Questa espansione, però, avvenne a scapito dei lavoratori. Sotto il controllo del regime, ogni forma di dissenso venne repressa, e i diritti sindacali furono completamente soppressi. La FIAT approfittò della situazione per imporre condizioni lavorative rigide e salari contenuti, consolidando il proprio potere industriale e reprimendo ogni forma di protesta.

Carro armato FIAT 3000
Aereo ca caccia Fiat G.55

Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio del 1943, l’azienda subì occupazioni e saccheggi da parte delle truppe tedesche, mentre Giovanni Agnelli venne accusato di collaborazionismo.
Nonostante le controversie legate al periodo fascista, la famiglia Agnelli riuscì a mantenere il controllo della FIAT anche nel dopoguerra, grazie a una combinazione di abilità politica, alleanze strategiche e il riconoscimento internazionale della FIAT come colosso industriale. Giovanni Agnelli morì nel 1945, ma il potere della famiglia si trasferì ai suoi discendenti, che continuarono a giocare un ruolo dominante nell’industria e nella politica italiana per gran parte del XX secolo.

LA REPUBBLICA ED IL BOOM INDUSTRIALE
Dopo la morte di Giovanni Agnelli nel 1945, il controllo dell’azienda passò al nipote Gianni Agnelli (nato nel 1921), che assunse il ruolo di vicepresidente nel 1947 e divenne presidente nel 1966. Durante questi anni, la FIAT si ricostruì dalle macerie della guerra e contribuì al “miracolo economico” italiano degli anni ’50 e ’60.

Gianni Agnelli

L’azienda iniziò a espandersi nei mercati esteri, esportando automobili in Europa e negli Stati Uniti e costruendo impianti in America Latina e in Asia.
In questa fase, la FIAT si avvalse di una forte collaborazione con lo Stato italiano, che sostenne l’industria automobilistica attraverso politiche economiche favorevoli e finanziamenti statali a pioggia.
L’artefice di questo accordo tra stato e famiglia Agnelli fu
Gianni Agnelli, soprannominato “l’Avvocato”,che prese il timone della FIAT nel 1966, trasformandola in un impero industriale e rafforzando la sua immagine di leader visionario. Tuttavia, gli anni ’70 furono segnati da crisi e conflitti.
La crisi petrolifera del 1973 colpì duramente la FIAT, che dovette affrontare il calo delle vendite e i costi crescenti della produzione. L’azienda avviò ristrutturazioni e licenziamenti di massa, generando tensioni sociali.

1969-1975 lotte e manifestazioni alla Mirafiori

Negli anni ’70, le fabbriche FIAT, come il grande stabilimento di Mirafiori, divennero teatri di scioperi e proteste da parte dei lavoratori, esasperati dalle condizioni di lavoro e dalla repressione sindacale. La FIAT rispose spesso con durezza, aggravando il clima di conflitto.
Gli anni ’80 segnarono un periodo di rinnovamento, sia dal punto di vista industriale che finanziario. Sotto la guida di Cesare Romiti, amministratore delegato dal 1976, l’azienda intraprese una strategia di diversificazione e consolidamento.
In questi anni la FIAT
espanse il proprio portafoglio acquisendo marchi come Lancia, Alfa Romeo, Ferrari (partecipazione), Maserati e la casa francese Simca, rafforzando il suo controllo sul mercato europeo.

Cesare Romiti, amministratore delegato dal 1976 – 1998.. Nel 1996 divenne anche presidente della FIAT dopo il ritiro di Gianni Agnelli

ANNI ’90 IL NUOVO CORSO DELLA FIAT VERSO LA CRISI SOCIALE ED ECONOMICA

Poi arrivarono gli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo che  segnarono l’inizio del declino della FIAT, aggravato da una serie di scelte strategiche errate e dall’emergere di nuovi competitor globali.
I fattori principali furono due:
Crisi finanziaria: l’Azienda iniziò a perdere quote di mercato a causa della competizione con produttori giapponesi e tedeschi, di modelli obsoleti e di una gestione inefficiente.
Problemi familiari: La leadership della famiglia Agnelli iniziò a indebolirsi con la malattia e la morte di Gianni Agnelli nel 2003. La scomparsa dell’Avvocato segnò la fine di un’era, lasciando un vuoto di potere e di visione strategica.
Dopo la morte di Gianni Agnelli nel 2003, il controllo della FIAT passò al nipote John Elkann, mentre l’azienda si trovava in una crisi profonda.

John Elkann attuale Presidente del CDA di Stellantis

Note su John Elkann
John Elkann ricopre attualmente diverse posizioni di rilievo in importanti aziende:

Exor N.V.: È amministratore delegato (CEO) della holding di investimento della famiglia Agnelli, che detiene partecipazioni in società come Ferrari, CNH Industrial, Juventus F.C. e The Economist Group.

Stellantis: Svolge il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione del gruppo automobilistico nato dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e PSA Group.

Ferrari: Dal 2018, è presidente esecutivo della casa automobilistica di Maranello.

Fondazione Giovanni Agnelli: Presiede questa istituzione filantropica che promuove iniziative nel campo dell’educazione e della ricerca.

Gruppo Editoriale GEDI
John Elkann ha ricoperto la carica di presidente del Gruppo GEDI, proprietario di testate come la Repubblica e La Stampa, fino all’ottobre 2024. In tale mese, ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza, mantenendo comunque il ruolo di azionista attraverso Exor, la holding della famiglia Agnelli.
Nonostante le dimissioni dalla presidenza, Elkann continua a influenzare le strategie del Gruppo GEDI attraverso la sua posizione in Exor. 

Nel 2003, la FIAT  registrava pesanti perdite, con quote di mercato in calo e modelli sempre meno competitivi. L’azienda rischiava il fallimento.
Nel 2004, Sergio Marchionne fu nominato amministratore delegato. Il manager italo-canadese ereditò una situazione critica, ma grazie alla sua visione strategica avviò un piano di rilancio basato su tre pilastri:
1. Ristrutturazione interna: Marchionne ridusse i costi, tagliò posti di lavoro e semplificò la struttura aziendale.
2. Rilancio del prodotto: Lanciò nuovi modelli di successo, come la nuova Fiat Panda e la Fiat 500, simboli del ritorno dell’azienda sul mercato.
3. Consolidamento finanziario: Marchionne negoziò con le banche e ridusse il debito dell’azienda, evitando il collasso.

Sergio Marchionne

Nel 2009, la FIAT, sfruttando la crisi finanziaria globale e il fallimento di Chrysler, acquisì una partecipazione iniziale nel colosso americano grazie al sostegno del governo degli Stati Uniti. Entro il 2014, Marchionne completò l’acquisizione, trasformando la FIAT in Fiat Chrysler Automobiles (FCA).
La fusione con Chrysler permise alla FIAT di accedere al mercato nordamericano e di rafforzare il portafoglio prodotti grazie a marchi come Jeep, Dodge e RAM.
La nuova azienda riorganizzò i marchi sotto il suo controllo, puntando su Jeep come motore di crescita globale, mentre Fiat si concentrava sui mercati europei con modelli come la 500 e le sue varianti, ma questa scelta non venne accolta bene dal mercato europeo, dove i modelli di piccola cilindrata erano sempre meno competitivi rispetto ai produttori tedeschi e giapponesi.

LA DELOCALIZZAZIONE: L’INIZIO DELLA MACELLERIA SOCIALE
La delocalizzazione della produzione Fiat dall’Italia, iniziata con la gestione di Sergio Marchionne, ha rappresentato un duro colpo per il tessuto industriale e sociale del Paese, con la chiusura di storici stabilimenti e il trasferimento di modelli iconici come Panda e 500L in Polonia e Serbia, mentre migliaia di lavoratori italiani sono stati lasciati senza impiego, intere comunità sono state impoverite e regioni come il Sud sono state abbandonate, il tutto aggravato dallo spostamento della sede fiscale e legale all’estero, un tradimento verso l’Italia che per anni aveva sostenuto Fiat con fondi pubblici e speranze ora disattese da una multinazionale senza radici né responsabilità verso la nazione.

La morte di Sergio Marchionne nel 2018 rappresentò un momento cruciale per FCA, lasciando un vuoto di leadership in un momento già complesso per l’azienda. Nonostante ciò, FCA proseguì nella strategia delineata dal manager, concentrandosi su SUV e pick-up come principali generatori di profitto.
Nel 2021, tuttavia, FCA scelse una strada controversa: la fusione con il gruppo francese PSA (Peugeot, Citroën, Opel) per formare Stellantis, il quarto produttore automobilistico mondiale. Questa decisione, salutata inizialmente come un’opportunità strategica per espandere la presenza di Fiat in Europa e nei mercati emergenti, si è però rivelata per molti una scelta scellerata, soprattutto per il suo impatto sul futuro del marchio e dell’industria automobilistica italiana.
Tra il 2021 e il 2022, Stellantis annunciò importanti investimenti nella transizione verso l’elettrico, lanciando modelli come la 500e. Tuttavia, il marchio Fiat si trovò relegato in secondo piano rispetto a Jeep e Peugeot, accentuando i timori di un ridimensionamento strategico.
Nel frattempo, la produzione in Italia subì ulteriori riduzioni, con il trasferimento di molte attività verso l’estero. Stellantis decise di puntare su modelli premium come Maserati e Alfa Romeo, mentre Fiat venne orientata verso la produzione di vetture economiche per i mercati globali, abbandonando progressivamente il suo ruolo di pilastro dell’industria nazionale.

John Elkann con Carlos Tavares

La fusione ha alimentato un acceso dibattito sul futuro di Fiat, percepita come sempre più marginale all’interno del colosso Stellantis. Molti si interrogano sull’impatto economico di queste scelte per l’Italia, che rischia di pagare un prezzo elevato in termini di posti di lavoro, innovazione e competitività.
In retrospettiva, quella che era stata presentata come una svolta strategica appare oggi come una mossa scellerata e volta solo ad aumentare i profitti dei grandi azionisti e che ha sacrificato l’identità e l’autonomia di un marchio storico sull’altare della globalizzazione e della concentrazione industriale.

LA BREVE ERA TAVARES
Carlos Tavares, nato a Lisbona, Portogallo, classe 1958 , ingegnere e dirigente d’azienda con una lunga carriera nel settore automobilistico. Ha ricoperto cariche di rilievo in Renault e Nissan fino ad amministratore delegato di Stellantis nel gennaio 2021, in seguito alla fusione tra PSA Group e Fiat Chrysler Automobiles.
La sua politica aziendale è stata caratterizzata dalla riduzione dei costi e da un aumento dei prezzi dei veicoli, strategie che hanno portato a una perdita senza precedenti di clienti nei segmenti più sensibili al prezzo e a una diminuzione della quota di mercato in Europa e Nord America.
La gestione di Stellantis sotto la guida di Carlos Tavares rappresenta un esempio lampante di fallimento manageriale e di disconnessione dalle realtà operative. Nonostante una retribuzione faraonica di 36,5 milioni di euro nel 2023, quasi il doppio rispetto ai 19,1 milioni del 2021, le sue decisioni hanno portato a una drastica riduzione delle vendite, con un calo del 20% nel terzo trimestre del 2024 e una diminuzione del 50% dei profitti .
Le dimissioni di pochi giorni fa non sono state un fulmine a ciel sereno: già al momento della nomina a manager, John Elkann avrebbe stabilito la durata del suo mandato.
Intanto, circolano indiscrezioni su una presunta buona uscita di Carlos Tavares, stimata tra i 40 e i 100 milioni di euro, sebbene Stellantis abbia prontamente smentito queste voci.

Carlos Tavares

GLI EFFETTI SUI LAVORATORI:
La gestione disastrosa di Stellantis rischia di scatenare un autentico tsunami sociale nel nostro Paese.
Negli ultimi giorni è emersa una notizia allarmante: l’azienda ha richiesto l’attivazione della cassa integrazione in diversi stabilimenti italiani, con un impatto devastante sui lavoratori.
Pomigliano d’Arco: la produzione della Panda sarà sospesa dall’11 dicembre all’8 gennaio, costringendo i dipendenti alla cassa integrazione o alle ferie forzate.
Mirafiori: gli operai sono già in cassa integrazione dal 2 dicembre e lo resteranno almeno fino all’8 gennaio.
Melfi: qui l’attività è ridotta a due soli giorni lavorativi a settimana, su un unico turno, fino al 23 dicembre. A seguire, una pausa produttiva è prevista fino all’Epifania.
Atessa: circa 1.500 dipendenti sono già stati collocati in cassa integrazione.
Termoli: tra il 16 e il 21 dicembre, 400 operai dei reparti motori GSE e V6 saranno in cassa integrazione. Successivamente, la produzione si fermerà dal 21 dicembre al 2 gennaio per la pausa natalizia, con utilizzo di permessi retribuiti.
Dobbiamo tenere presente che Stellantis ha ricevuto circa 700 milioni di euro dall’INPS per la cassa integrazione e prevede di richiederla nuovamente per migliaia di dipendenti nel 2025.

CONCLUSIONI
In conclusione, la parabola della FIAT, dalla famiglia Agnelli fino alla trasformazione in Stellantis, rappresenta un emblema dell’abilità di sfruttare le risorse pubbliche come leva strategica per la propria espansione e sopravvivenza. Fin dai primi decenni del Novecento, FIAT ha saputo mungere senza sosta lo Stato italiano, incassando sovvenzioni, incentivi e salvataggi in nome del “bene nazionale”. Tuttavia, a fronte di questa pioggia di denaro pubblico, non ha esitato a usare e la cassa integrazione  come una brutale arma di persuasione, piegando governi e sindacati al proprio volere. Una dinamica che si è perpetuata, lasciando l’Italia impoverita sul piano industriale e sociale, mentre le decisioni strategiche migravano lontano dai confini nazionali. La storia della FIAT/Stellantis non è solo un monito, ma anche un’amara riflessione sul rapporto spesso squilibrato tra grande impresa e interesse collettivo.
Stefano Becciolini

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