
Mentre scrivo questo breve articolo nella Repubblica Democratica del Congo i ribelli dell’M23 hanno preso Bukavu, il capoluogo del Sud Kivu. Controllano l’intera area di frontiera del lago Kivu: Goma nel nord, Bukavu nel sud. Una lunga striscia di terra si stende dalla punta nord del Kivu, abbraccia il lago Eduardo e corre sino a Beni, a cavallo delle frontiere del Rwanda e dell’Uganda: è il Parco Nazionale del Virunga, patrimonio Unesco. Ai bordi di essa, mentre procedeva verso la regione del Rutshuru, fu barbaramente assassinato l’ambasciatore italiano Luca Attanasio insieme al carabiniere Vittorio Jacovacci e il loro autista, Mustapha Milambo. Una settimana sulla stessa strada perse la vita il Colonnello Mulahya insieme a 11 uomini della scorta. Era il magistrato militare congolese mandato ad indagare sulla morte del nostro diplomatico. Dietro a questi due attentati ci sarebbe il Colonnello Rusimbi, un ufficiale rwandese responsabile di svariate razzie nella zona.
Nel 2014, sette anni prima la tragica fine di Attanasio e dei suoi compagni, mio fratello Antonio Spanò girò un breve documentario off the label sul Virunga. Un lavoro nato nei ritagli di tempo mentre girava un altro documentario, Inner Me, uscito nel 2016. Lo aveva colpito la storia di Kyavinyonge, un’enclave all’interno del territorio del parco. C’erano evidenze di violenze efferate consumate ai danni dei pescatori e dei contadini dell’area. Villaggi bruciati, esecuzioni sommarie, razzie, rapimenti, sparizioni. Crimini consumati, a quanto dicono gli abitanti dell’area e non solo, dai Ranger guardaparco. Gli stessi finiti nell’occhio del ciclone per l’omicidio Attanasio. La versione ufficiale, consolatoria per quanti credono all’esistenza dei buoni e magari pensano di farne parte, è che i Ranger siano intervenuti a difesa dell’ambasciatore, ma secondo altri sarebbero stati loro stessi a sparare ad Attanasio, Jacovacci e Milambo. “Fuoco amico”, si dice in questi casi.
Gli abitanti locali accusano i Ranger, sostenuti finanziariamente dall’Unesco per la tutela del parco nel quale vivono i celebri gorilla di montagna, di numerosi massacri ed intimidazioni. Ammesso e non concesso che abbiano sparato loro ad Attanasio, potrebbe non essersi trattato di un errore. Quel tratto di frontiera forma, insieme al lago Eduardo, al Kivu e al Tanganiyka, formano la continuazione sulla terra ferma di quell’area porosa ricchissima di minerali strategici e contesa dal Rwanda, l’Uganda e il Burindi al Congo. Dietro di loro, si allunga l’ombra delle potenze occidentali interessate alle immense ricchezze dell’area. Si tratta di illazioni, o c’è dell’altro? Animal Park, che ha vinto diversi festival nazionali ed internazionali togliendomi dall’imbarazzo di promuovere un lavoro di mio fratello, è un vero e proprio buco della serratura attraverso il quale possiamo osservare una realtà quasi indicibile.
Ricapitolando: l’Unesco, istituzione onusiana che presiede la cultura e tutela “patrimoni” culturali e naturalistici in tutto il mondo, dal 1979 controlla una sorta di “stato cuscinetto” all’interno della Repubblica Democratica del Congo. Quest’area è il passaggio obbligato per il traffico di materie prime di provenienza artigianale che valgono almeno quanto l’estrazione mineraria industriale, oltretutto di difficilissima tracciabilità, alla volta dell’Uganda e soprattutto del Rwanda. Dietro il paravento della protezione dell’ecosistema, i Ranger eliminano qualsiasi intruso disturbi questi traffici benemeriti, siano essi locali o curiosi occasionali. Sono circa mille chilometri di frontiera attraverso la quale passa di tutto: oro, diamanti, coltan, cadmio, litio, cobalto, persino uranio destinati ai bulimici mercati occidentali. Non si tratta di congetture, teorie del complotto o mere ipotesi, ma di fatti corroborati da montagne di prove accumulate in innumerevoli indagini internazionali. Nascoste in bella vista.
Il Virunga è un’altra tessera nel mosaico delle infinite violenze che lacerano il Congo Democratico fin dalla sua nascita. Il documentario indipendente Animal Park, una piccola retrospettiva di cosa accade da quelle parti quasi ogni giorno, con i complimenti dello chef.